Vi presentiamo l’elaborato vincitore della I° Edizione del Concorso Letterario “Scrivi su Casaranello” con tema “Una giornata nell’antica Casaranello“. Vincitrice è la talentuosa Chiara De Matteis, 17 anni, originaria di Casarano, con la sua opera, dal titolo “L’immortalità di uno sguardo“.
Buona lettura!
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Casaranello, X secolo d.C.
È una calda giornata d’Aprile qui a Casaranello e il sole accarezza tiepido i deboli tetti delle casupole degli abitanti del piccolo villaggio. Tutto è così minuto e frenetico qui e non sono abituata al fezzo del paese e alle grida popolane o alle scorrazzanti bambine che mi corrono intorno. Probabilmente cercano di osservare i miei abiti, così sontuosi e curati rispetto a quelli di questa gente. È vero, il mantello di broccato e la stola blu accollata e decorata con fili dorati sono bellissimi e anche piuttosto costosi, ma non combattono il caldo, che già in questo mese si fa sentire qui a sud dell’Impero. Non vengo molto spesso qui al villaggio, anzi lo evito tanto quanto basta per preservare il mio rango e la mia reputazione di nobildonna, così come la fiducia di mio marito, un uomo determinato a mantenere la sua posizione nell’Impero bizantino che sta crescendo sempre di più. Mentre cammino verso la chiesa di Santa Maria della Croce mi accorgo dell’arcobaleno che ho intorno: tutti qui indossano leggere tuniche sgargianti, come da uso bizantino. La chiesa è aperta, entro e lascio che i miei occhi si sazino della bellezza che li circonda: affreschi e mosaici ovunque, splendidi colori lucenti, icone austere e dall’aspetto nobile e sacro che scrutano con occhio critico lo spettatore. La luce rimbalza giocosa ovunque, come se fosse consapevole degli incredibili capolavori che illumina, creando magici fasci coinvolgenti. D’un tratto una voce:” Signora Berenice, sono contento di rivederla “mi volto e riconosco l’affannato artista che ho incontrato una settimana fa: un viso robusto, scuro e la barba nera lo rendono burbero nell’aspetto, ma gli occhi rivelano una gentilezza d’animo mentre cerca di posare i suoi attrezzi per presentarsi più decorosamente. La sua tunica è imbrattata di calce e tinte cromatiche, non si può dire che emani un odore gradevole: la stanza è impregnata dell’odore naturale dei colori, un aroma di cui ormai non mi sorprendo più, così come i miei occhi si sono abituati alle rudimentali impalcature di legno che Demiurgo ha innalzato per continuare a dipingere con devota minuziosità quegli affreschi e quei mosaici che tanto amo e che ormai sono l’orgoglio di Bisanzio. Demiurgo riverisce in segno di omaggio e non riesco a trattenermi dal chiedere come proceda l’affresco che ho commissionato poche settimane fa. L’artista appare emozionato e mi guida subito verso l’altare dove, a sinistra, su quella che prima era solo una grezza parete di granito, è affrescato l’accenno di una Madonna con il Bambino. “Da quello che vedo finora il lavoro procede molto bene Demiurgo, devo congratularmi con voi. La sagoma della Vergine è perfetta, ma io voglio qualcosa di diverso.” Demiurgo sembra confuso. Immagino che sia irritante per un artista ricevere delle critiche da una profana, anche se nobildonna, ma quest’affresco è più di una semplice icona: è il mio segno in questa città, in questa piccola frazione della Terra d’Otranto, è la mia eredità per la grandezza e la magnificenza dell’Impero Bizantino. Quando la gente osserverà questa raffigurazione dovrà riconoscerne non la semplice bellezza, ma la sublimità. Come committente dell’opera è quindi mia la responsabilità di far trasparire queste sensazioni e voglio chiarirlo subito con Demiurgo;” Demiurgo, non finanzierò un’altra icona. Finanzierò un’autentica innovazione, come sono convinta farà anche mio marito. Voglio qualcosa di nuovo, che si possa ricordare. Desidero che questo affresco emani bellezza profana ed austerità divina. Non sarà un’altra Madonna sul trono, non sarà una delle tante. Spero di essere stata chiara.” Demiurgo mi osserva basito, quasi contrariato, prima di annuire. Sono certa che riuscirà a dare vita al mio progetto, ricoprendo la mia famiglia ed il suo nome di gloria. La luce filtra le vetrate della chiesa. Sarà un piccolo gioiello luminoso ed io splenderò con lui.
È passata una luna da quando ho incontrato l’ultima volta Demiurgo, la sua solita barba ispida e gli occhi attenti e vispi propri di un grande artista. Intorno a me sono sparite alcune delle impalcature e il rude legno ha fatto spazio a nuovi, vibranti colori. I santi di Bisanzio sono giunti qui, nella minibus terra e sento che, nonostante tutto, il mondo si sta restringendo e le culture si riavvicinano, anche se so che il sogno di Alessandro Magno è ormai cenere insieme a lui. Sono così distratta da questi pensieri che quasi non mi accorgo dell’espressione giuliva e soddisfatta di Demiurgo: mi basta rivolgere lo sguardo a ciò che ho di fronte per capire il perché di tanta soddisfazione: il mio affresco ha preso vita, e questa volta è esattamente quello che volevo. La Madre ed il Figlio sono una cosa sola: Divina ed Umana, la Vergine Theotòkos non potrebbe essere associata ad un’opera migliore, tutto è un perfetto sincretismo tra divino e profano, emana regale spiritualità e d’improvviso sono pervasa da un senso di piccolezza e d’orgoglio per aver commissionato tanta bellezza. È come se mi stesse studiando nella sua eterea ed immobile bellezza: gli occhi calmi, umani, materni ed un’espressione seria ed elegante. Il velo blu come la notte le ricade dolcemente sulle spalle. Si intravede l’ombra di un’aureola e mi stupisco dei dettagli intarsiati sul velo. Più in basso, sulla stessa linea, la figura di un bambino: i riccioluti capelli d’oro incorniciano un volto perfetto, lo stesso sguardo profondo della madre, mentre la piccola mano accenna alla benedizione, ricordandomi che sto osservando il Figlio di Dio. Le mani della Vergine sono delicate ed eleganti e quello che mi colpisce di più è l’armonia che mi trasmettono: è come se la madre mi stesse mostrando quel bambino, che non ha bisogno di essere sostenuto ed è grande nella sua piccolezza. Sicuri e consapevoli, le tuniche rosse li fanno apparire nobili bizantini, ma le aureole, il prezioso sfondo dorato, il contrasto dei colori rimandano a Dio. Demiurgo sembra leggermi nel pensiero: “Spero di essere riuscito a catturare ciò che voleva” aggiunge. “Sì, è esattamente quello che intendevo: una sintesi sublime tra sacro e profano… non potrei essere più soddisfatta, grazie Demiurgo.” Gli occhi dell’artista si illuminano di gioia e si arriccia la barba per qualche minuto. I miei occhi non riescono a staccarsi dall’affresco e penso che, per la prima volta ho lasciato una traccia immortale.
Casaranello, 9 Maggio 2017
Non faccio che osservare l’affresco che ho davanti e leopardianamente annegare il mio pensiero in quest’immensità. Gli occhi della Vergine sono così profondi da scrutarmi e, inspiegabilmente, rasserenarmi. Sono tremendamente nervosa, perché sto per entrare in scena insieme ai miei compagni per rievocare un’altra immortale figura femminile, la bella Calipso e il suo sfortunato amore. È vero, forse una chiesa non è il luogo più adatto ad uno spettacolo teatrale, ma questo non è solo un luogo religioso, ma molto altro: è un pezzo di storia, di arte, di cultura. È un luogo intriso di emozioni e oggi il suo altare sarà il nostro palcoscenico, la sua assemblea sarà il nostro pubblico, Casaranello il nostro teatro. È difficile distogliere lo sguardo dalla Madonna con il Bambino, anche quando mi allontano, finalmente pronta per entrare in scena, sembra seguirmi. Ed io non smetto di meravigliarmi perché, dopo tutti questi secoli, riesce ancora ad emozionare. Una chiesetta tanto piccola e semplice all’esterno è il gioiello e l’orgoglio della mia terra, così intima, vera ed immortale.